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TI AMERÒ FINO AD AMMAZZARTI
(I LOVE YOU TO DEATH)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 27 ottobre 1990
 
di Lawrence Kasdan, con Kevin Kline, Tracey Ullman, Joan Plowright, River Phoenix, William Hurt, Keanu Reeves (Stati Uniti, 1990)
Il cinema, per certi versi così facile nei i suoi lati (i peggiori... ) vezzosamente allettanti, è al contrario un mezzo espressivo tremendamente difficile da governare. Ennesima riprova, l'ultimo film dell'autore esperto e sensibile di BRIVIDO CALDO e di IL GRANDE FREDDO: proprio quegli aspetti che nobilitavano il film precedente di Kasdan, TURISTA PER CASO (l'introspezione dei personaggi, che nasceva da un'intuizione perfetta - alla Cassavetes - dei tempi di ogni singola scena), lo tradiscono in questa farsa truculenta. Che avrebbe potuto essere un piccolo gioiello della commedia dell'assurdo, sul genere di UN PESCE DI NOME WANDA.

Truculenta ed assurda, la storia, non solo perché perché si tratta di una moglie d'origine italiana supetradita dal marito pizzaiolo supersimpatico che, con la collaborazione di una bellicosa madre dai natali iugoslavi, non riesce assolutamente a far fuori l'oggetto del suo amore-odio. Né con spaghettate alla salsa piccante condita da flaconi di tranquillanti; né tanto meno con un colpo di pistola in testa, sparato da una coppia di squinternati (William Hurt, inenarrabile) killer. Ma perché le motivazioni - meglio, le contraddizioni - sociali, culturali, religiose dei personaggi li conducono ad agire nel senso opposto alle proprie convinzioni: la moglie dovrà vendicarsi ed uccidere pure amando, il marito redento riamerà proprio perché vittima di un tentativo d'assassinio, la suocera giustificherà qualsiasi violenza purché non in odore di corna, i killer imbranati e pacifici saranno scovati dal pacifista misticheggiante ma vendicativo, e via dicendo.

Tutto questo materiale, eventualmente utile oltre che dilettevole, è progressivamente sciupato da Kasdan: che manca incomprensibilmente di quel senso della misura che lo aveva accompagnato finora. Nella direzione degli attori, nella durata e nella ripetitività delle gag, il tono e l'effetto comico di un genere che, più di ogni altro, richiede misura nella dismisura, va a farsi benedire.


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